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LA TERAPIA CELLULARE CAR-T

La possibilità di personalizzare le cure, ingegnerizzando le cellule di un paziente e raggiungendo così target terapeutici inimmaginabili fino a pochi anni fa, rappresenta una delle novità più dirompenti della moderna ricerca biomedica.

Tra gli strumenti che più si stanno affermando in questo contesto figurano le terapie CAR-T (acronimo di Chimeric Antigen Receptor T cell): un nuovo paradigma di trattamento in cui i linfociti T vengono prelevati da un paziente e successivamente reinfusi nello stesso paziente, dopo essere stati modificati geneticamente, al fine di sconfiggere le cellule tumorali.

Alle CAR-T l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha riconosciuto, già nel 2019, lo status di innovatività per il valore terapeutico aggiunto, rispetto ai protocolli di cura standard, in alcune patologie onco-ematologiche rare quali la leucemia linfoblastica acuta e il linfoma diffuso a grandi cellule B.

Le terapie CAR-T si differenziano dagli altri farmaci finora noti ed utilizzati in clinica per il meccanismo d’azione peculiare e per il sistema di produzione altamente personalizzato.

Tali terapie incarnano un nuovo modo di affrontare il percorso terapeutico e richiedono l’elaborazione di soluzioni organizzative e gestionali ad hoc, appositamente disegnate per garantire un’ottimale presa in carico dei pazienti.

L’INNOVAZIONE DELLA TERAPIA CAR-T: DAGLI ALBORI AD OGGI

Emily Whitehead ha da poco cinque anni quando le viene diagnosticata una leucemia linfoblastica acuta (LLA).

È il maggio del 2010 e può beneficiare di tutti gli approcci terapeutici disponibili contro questo tumore ematologico, con una probabilità di guarigione tra l’85 e il 90%.

Emily però fa parte di quel restante 10-15% di pazienti pediatrici in cui le terapie convenzionali non funzionano e nell’ottobre del 2011 ha una ricaduta. Ne ha un’altra nel 2012, poche settimane prima del trapianto di cellule staminali emopoietiche (HSCT) programmato da tempo che, per questo motivo, non potrà eseguire.

Due anni dopo, tutte le armi a disposizione dei medici sono terminate. Tutte eccetto una sviluppata presso l’Università della Pennsylvania dove, il team di Carl June, ha messo a punto la prima terapia CAR-T diretta contro l’antigene CD19, fino a quel momento sperimentata solo su adulti presso il Children’s Hospital di Philadelphia.

Il 17 aprile del 2012 Emily Whitehead è la prima bambina a essere trattata con una terapia CAR-T e sarà anche la prima ad essere considerata guarita dalla LLA grazie ad essa. Oggi, infatti, Emily è ancora libera dalla malattia.

Dovranno passare però ancora cinque anni prima che la Food and Drug Administration (FDA) statunitense, nel 2017, e l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), l’anno seguente, approvino le prime due terapie CAR-T. Poco prima del 2020 queste terapie avanzate sono arrivate anche nei Centri clinici italiani dove sono state eseguite le prime infusioni.

COME FUNZIONA UNA TERAPIA CAR-T

L’attività oncologica di queste terapie è legata ai linfociti T (o cellule T) del paziente stesso, che vengono potenziati in laboratorio e “armati” contro il tumore, per essere poi reinfusi nell’organismo ad esplicare la propria azione anti-tumorale.

La cosiddetta “arma in più”, ovvero il recettore chimerico dell’antigene (CAR), è introdotta nelle cellule T mediante un meccanismo tipico delle terapie geniche, cioè sfruttando il trasporto di materiale genico tramite un vettore virale.

Nel dettaglio (Figura 1), il sistema produttivo di una terapia CAR-T ha inizio con il processo di leucoaferesi che consiste nella raccolta dei leucociti in Centri trasfusionali autorizzati.

Grazie ad appositi macchinari, il sangue del paziente è prelevato e filtrato in modo da separare ed estrarre i leucociti, mentre i restanti elementi ematici vengono reinfusi.

Il prodotto ottenuto è quindi congelato, per poi essere spedito nei laboratori altamente specializzati e certificati (cell-factory) delle aziende farmaceutiche che detengono i brevetti richiesti per l’ingegnerizzazione genetica.

A questo punto le cellule T del paziente vengono messe in contatto con un vettore virale, un virus disattivato, svuotato e reso innocuo, che al suo interno contiene il materiale genetico per la codifica del CAR.

Questo gene si integrerà in maniera permanente con il DNA della cellula T in modo da farle esprimere sulla propria superficie il CAR, dando origine alla cellula CAR-T.

Una cellula CAR-T, dunque, non è altro che un linfocita T sulla cui superficie si trova espresso un recettore (una sorta di antenna), disegnato in modo tale da riconoscere un antigene specifico presente sulla superficie delle cellule tumorali, come l’antigene CD19, espresso dalla maggior parte dei tumori del sangue, target delle prime terapie CAR-T approvate.

Grazie al recettore specifico che funziona come un radar, la cellula CAR-T riconosce la cellula tumorale da eliminare, vi si lega e la distrugge (Figura 2).

Una volta ingegnerizzate nelle cell-factory, le cellule CAR-T vengono ulteriormente lavorate ed espanse in modo da ottenerne una quantità clinicamente rilevante.

Infine vengono congelate e spedite al Centro clinico dove si trova il paziente.

L’intero processo di produzione dura in media dai 12 ai 16 giorni. Nel frattempo, il paziente che deve ricevere la terapia è sottoposto a una chemioterapia linfodepletiva, necessaria per distruggere il vecchio sistema immunitario e fare posto ai linfociti T modificati, in modo che possano espandersi e attivarsi nell’organismo.

Quando le cellule CAR-T arriveranno nel Centro clinico, il paziente sarà pronto a riceverle attraverso un procedimento simile a una trasfusione di sangue.

 

Dopo l’infusione il paziente viene trattenuto nella struttura sanitaria per qualche giorno al fine di garantire il monitoraggio post-trattamento e verificare l’insorgere di eventuali reazioni avverse.

Secondo l’AIFA, l’intero procedimento, dal prelievo al monitoraggio, richiede 21 giorni.

 

PER CHI SONO INDICATE LE TERAPIE CAR-T

Nell’agosto del 2018, a un giorno di distanza l’una dall’altra, le prime due terapie CAR-T hanno ottenuto l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) nell’Unione Europea.

La prima, tisagenlecleucel, è indicata:

  • per i pazienti pediatrici e giovani adulti fino a 25 anni di età, con leucemia linfoblastica acuta (LLA) a cellule B, refrattaria, in recidiva post-trapianto o in seconda o ulteriore recidiva; 
  • in pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) in recidiva o refrattario dopo due o più linee di terapia sistemica.

La seconda CAR-T (axicabtagene ciloleucel) è indicata:

  • per gli adulti con DLBCL o con linfoma primitivo del mediastino a cellule B (PMBCL) già sottoposti ad almeno due linee di terapia sistemica, entrambe forme aggressive di linfoma non-Hodgkin.

Lo scorso dicembre inoltre, è stata concessa l’AIC nell’Unione Europea anche a una terza terapia CAR-T – non ancora autorizzata in Italia – brexucabtagene autoleucel, indicata per le persone affette da linfoma a cellule mantellari (MCL) recidivante o refrattario.

Le terapie CAR-T rappresentano dunque un’ulteriore opzione per i pazienti in cui le strategie standard non si sono dimostrate efficaci.

Queste terapie, proprio per la loro grande efficacia e potenza, non sono scevre da rischi ed effetti collaterali, talvolta anche rilevanti, come la neurotossicità (ICANS) e la sindrome da rilascio di citochine (CRS), i due principali e più seri eventi avversi che possono verificarsi in seguito alla somministrazione.

La CRS, in particolare, è dovuta all’intensa risposta infiammatoria che si sviluppa a causa dell’attivazione delle cellule CAR-T nell’organismo e che in alcuni casi può richiedere il ricovero in terapia intensiva.

È quindi evidente come terapie così complesse, sia in termini terapeutici che di possibili effetti collaterali, richiedano la presenza di un team multidisciplinare adeguatamente formato a garanzia di una gestione ottimale delle stesse.

Ad oggi, tutti gli eventi avversi derivanti dal trattamento con terapie CAR-T possono essere gestiti con farmaci e protocolli specifici all’interno di Centri specializzati.

Quando le terapie CAR-T sono arrivate in Italia, prima come cure sperimentali all’interno di trial clinici poi come farmaci regolarmente registrati con AIC, hanno suscitato da subito l’interesse delle strutture sanitarie. Ma proprio perché si tratta di farmaci altamente innovativi e complessi dal punto di vista strutturale, funzionale e clinico, è evidente che la loro somministrazione può avvenire esclusivamente in Centri selezionati, in grado di somministrare la terapia in modo efficace, efficiente e sicuro per i pazienti. Per tale motivo l’AIFA ha definito che le strutture sanitarie candidate all’infusione delle terapie CAR-T dovessero possedere requisiti ben precisi (Tabella 1).

Sulla base di questi requisiti, le singole Regioni hanno poi selezionato uno o più Centri, che sono stati autorizzati alla somministrazione del farmaco.

Nel 2020 le Regioni che avevano indicato i Centri idonei alla somministrazione delle CAR-T erano 15, per un totale di 43 strutture selezionate sul territorio italiano (Figura 4).

Superato questo primo livello istituzionale, si è reso necessario un ulteriore confronto con le aziende produttrici, le quali dispongono di appositi percorsi di qualifica per garantire l’effettiva attuazione di quanto necessario per un’efficace e sicura somministrazione delle terapie CAR-T.

IL RUOLO DEL TEAM MULTIDISCIPLINARE

Se, da un lato, le terapie CAR-T rappresentano uno straordinario traguardo scientifico, dall’altro possono rappresentare una sfida per il Centro clinico deputato alla loro erogazione.

Esse richiedono infatti soluzioni organizzative adeguate a seguire i pazienti prima, durante e dopo il trattamento.

La peculiarità di queste terapie rende quindi imprescindibile il ricorso a un team multidisciplinare adeguatamente formato, che sia in grado di gestire il farmaco nella sua interezza, considerando sia il percorso clinico e logistico del prodotto, sia i possibili effetti collaterali relativi alla somministrazione.

Per questo motivo è richiesta la creazione di un gruppo di lavoro costituito da diverse figure, come ematologi, oncologi, cardiologi, medici trasfusionisti, biologi, farmacisti, infermieri, neurologi, rianimatori, radiologi e infettivologi, che devono lavorare in stretta sinergia.

I CENTRI HUB & SPOKE

In un contesto come quello delle terapie CAR-T, assume un ruolo fondamentale la creazione di un network e di linee guida per un lavoro in sinergia tra il Centro Hub che effettua il trattamento e il Centro Spoke periferico che riconosce i pazienti eleggibili.

La gestione condivisa e precoce dei pazienti CAR-T tra Centro Hub e Centro Spoke rappresenta un elemento chiave per una gestione ottimale del percorso di cura del paziente nelle sue diverse fasi (diagnosi, pre- infusione e follow-up), con benefici sull’organizzazione dei Centri coinvolti e, soprattutto, sui pazienti.